Buthan, un modello di vita ecosostenibile
Probabilmente in molti non saprebbero nemmeno in che continente collocarlo, sicuramente nessuno ha mai sentito il nome di questo paese al TG quando, purtroppo, si danno notizie di guerre, di colpi di Stato e di disastri vari. Non a caso il Buthan, piccola nazione asiatica confinante con India e Cina, è un paese lontano dagli onori (e dai disonori) della cronaca: perché? Semplicemente perché è il paese più felice del mondo…
La vita nel Buthan
Prepariamo tutti le valigie e trasferiamoci nel Buthan: qui hanno scoperto il segreto della felicità. Gli 800 mila abitanti di questo pezzo di mondo sembrano vivere in un’atmosfera rarefatta, quasi da sogno. Nessuno (o quasi) soffre la povertà, nessuno si sognerebbe mai di deturpare i paesaggi o maltrattare la natura e nessuno si ammazzerebbe di lavoro per accumulare ricchezze o per concedersi il lusso di comprare l’ultimo iPhone lanciato sul mercato dalla Apple. Basti pensare che ad oggi è raro incontrare un abitante del luogo che possieda un telefonino e che, sino al lontano 1999, neanche uno di loro ha mai sentito il bisogno di tenere in casa la televisione.
Eppure si vive bene, benissimo. Lo testimonia il FIL (acronimo per Indice di Felicità Lorda) che in questo paese è molto più importante del PIL… Nella piccola monarchia del Buthan infatti l’accumulo compulsivo di beni materiali e denaro non interessa nessuno perché ciascuno degli 800 mila abitanti del paese ha un solo obiettivo: intessere dei buoni rapporti sociali con chiunque incontri, stabilire un contatto con gli esseri umani e l’ambiente, aiutare chi ne ha bisogno, insomma vivere esattamente secondo gli insegnamenti del buddismo: l’aspetto materiale della vita ha qui pochissimo peso, la spiritualità e l’altruismo invece sembrerebbero (sicuramente con le dovute eccezioni) farla da padroni. Certo è spontaneo chiedersi a questo punto come mai, se molte altre religioni egualmente diffuse nel mondo portano con sé lo stesso tipo di messaggio, nessun altro paese abbia pensato di vivere alla stessa maniera, ma questa è tutta un’altra storia…
Il Buthan e l’economia sostenibile
Partiamo dal presupposto che il paese del drago, questa è la traduzione in italiano del suo nome, è consapevole di vivere in una dimensione altra rispetto al resto del pianeta. Non è un caso che sino al 1974 nessuno straniero abbia mai avuto il permesso di varcare il confine, non è una cosa strana che, come detto sin dall’inizio, molti ignorino proprio l’esistenza di questo piccolo stato asiatico. Del resto il Buthan ci mette del suo: a nessun governo è mai venuto in mente di aprire le porte alla globalizzazione ed alla sua morsa, nessun moto popolare si è mai sollevato affinché il paese si adeguasse allo stile di vita in voga in altre nazioni. Il Buthan insomma si è isolato volontariamente dal mondo e dalle sue logiche ed ha scoperto anzitempo tutto quello che i paesi occidentali oggi ritengono il segreto della felicità ed il modo migliore per preservare l’ambiente.
Qui non è prassi comune aggredire l’ecosistema: si vive di un’economia sostenibile addomesticando la natura quel tanto che basta per adattarsi a lei, per potersi garantire la sopravvivenza. Nel Buthan infatti la maggior parte delle persone vive e si autosostenta grazie ad una agricoltura praticata in maniera tale da assicurare ad ogni piccolo nucleo famigliare del paese di che vivere. Di grandi industrie e grosse catene di distribuzione non c’è nemmeno l’ombra e tutto ciò che, come le automobili, può potenzialmente turbare questi equilibri e danneggiare l’habitat di uomini e bestie, non viene visto di buon occhio dalla gente e dal governo che, non avendo altri mezzi, contrasta la diffusione di questi oggetti tassandoli oltre misura.
Il Buthan è quindi un paese fuori dal mondo? Ha deciso di chiudere del tutto le porte al progresso? No, semplicemente ha stabilito di non aderire alle logiche della globalizzazione e del consumismo, ha preferito incoraggiare l’uso di meno inquinanti mezzi pubblici e di veicoli alimentati con fonti energetiche alternative, ha scelto di dare a tutti un’opportunità di vivere decorosamente senza per questo svendere la propria felicità.
Il Buthan ed il Progetto Foreste
Proprio in quest’ottica vanno considerate iniziative quali il Progetto Foreste. In occasione di una delle più recenti Conferenze sul Clima (Parigi 2015), il Buthan, uno dei paesi più ecologici del mondo, ha promesso ai rappresentanti degli stati partecipanti all’incontro che da quel momento in poi, quindi praticamente per sempre, il suo territorio sarà coperto di verde per almeno il 60% dell’intera superficie. Insomma, tornati a casa, i partecipanti al meeting si sono adoperati perché nell’arco di qualche giorno venissero piantati nel paese del drago ben 50 mila nuovi alberi.
Le ragioni di tanta celerità non vanno ricercate soltanto nella consapevolezza di essere chiamati a mantenere la parola data o nella profonda spiritualità di questa popolazione: sì, chi abita in Buthan tutela per forma mentis l’ambiente che lo circonda, ma è anche vero che questo non basta a proteggere il paese dal rischio di desertificazione. Per questo motivo, piantare 50 mila esemplari di alberi significa anche tentare il tutto e per tutto per evitare che il paese cambi, per provare ad ostacolare l’effetto dell’inquinamento prodotto da altre nazioni che, anche nel sensibilissimo Buthan, da qualche tempo in qua si traduce in bruschi e anomali cambiamenti climatici. Si badi bene che questa piccola nazione asiatica, lo rilevano gli studi dell’ECIU (Energy and Climate Intelligence Unit) potrebbe benissimo esimersi da tali obblighi: non soltanto la sua popolazione praticamente non inquina, ma le sue aree verdi bastavano già prima di questo intervento ad assorbire il triplo di tutte le scorie nocive prodotte all’interno dei suoi confini.
Insomma, il Buthan è il paese dei sogni, un modello di civiltà per noi occidentali difficile da eguagliare. No, non si tratta di un giudizio spassionato di chi scrive, si tratta semmai di un’affermazione consapevole, avallata dai dati raccolti dagli scienziati. Proprio gli studiosi hanno infatti provato che se tutti gli stati del mondo decidessero una mattina di rinunciare alle logiche imposte dal dio denaro e di vivere prendendo a modello il Buthan, almeno dal punto di vista del rispetto della natura e dell’ambiente, basterebbe appena un ventennio per restituire al pianeta un discreto stato di salute. Si tornerebbe ad un assetto climatico, idrico e geologico simile a quello che ha contraddistinto la Terra sino agli inizi del ‘900, si risparmierebbero parecchi miliardi, forse chissà, molte guerre verrebbero definitivamente archiviate perché tutti avrebbero di che vivere… saremmo insomma tutti più felici…